di Matteo Bellinazzi
“Perché è stata chiamata l’ambulanza se poi l’ufficiale ha impedito ai paramedici di fare il proprio dovere e di prestare soccorso a un ragazzo che ne aveva bisogno?”. Questa è la domanda al centro del caso denunciato dalla Cgil per le cure sanitarie che sarebbero state negate a un 33enne italiano in stato di arresto alla caserma dei Carabinieri di Copparo.
Il sindacato, per voce del segretario generale Cristiano Zagatti e del collega della Fp Natale Vitali, non solo ravvisa “gli estremi di un trattamento disumano e degradante, in spregio ai principali diritti alla salute e alla libertà personale sanciti dalla Costituzione”, ma denuncia il comandante della Compagnia di Copparo, il maggiore Giorgio Feola, per violenza, minacce e interruzione di pubblico servizio.
Ma cosa è successo in caserma quell’11 settembre? “Alle ore 13.35 – racconta Zagatti – su indicazione della Centrale Operativa 118, viene attivata l’ambulanza Fe5 per codice giallo che da Ferrara raggiunge la caserma di Copparo. La chiamata di intervento è stata fatta dai carabinieri perché sul cortile interno alla caserma riversava una persona”.
L’equipaggio trova una persona sofferente per dolore addominale e in preda a violenti conati di vomito, attorniato da alcuni carabinieri. Dopo le prime valutazioni il personale sanitario ritiene “indispensabile il trasporto presso il Pronto Soccorso di Cona per il necessario iter diagnostico e terapeutico”.
È qui che la situazione si complica. Come descrive Zagatti, “i carabinieri presenti si rifiutano di lasciare il personale sanitario procedere con il trasferimento impedendo anche solo il trasporto sulla barella, in quanto – come è riportato dalla relazione –“il comandante Feola vieta espressamente il trasferimento”.
“Visto il dilungarsi in termini temporali della situazione e considerando la pressante richiesta da parte dei militari di avere presente il medico per ‘praticare – a loro dire – una iniezione e chiudere la pratica’, viene contattata la Centrale Operativa richiedendo la presenza dell’automedica di Copparo, in quel momento impegnata su codice rosso neurologico”.
“Da notare – sottolinea Zagatti – quanto fosse scorretto e potenzialmente deleterio per la popolazione, impegnare per lungo tempo, dalle 13.50 alle 16, e senza valida motivazione un equipaggio e una ambulanza 118 in piena operatività emergenziale, impedendone il normale svolgimento delle attività sanitarie specifiche per il caso in oggetto”.
Da qui la denuncia per interruzione di pubblico servizio. “Solo dopo l’intervento del medico – prosegue Zagatti – è stato possibile far accomodare il 33enne sull’ambulanza ma ancora una volta il personale sanitario ottiene un secco rifiuto di procedere con il trasferimento presso Cona e la situazione rimane immutata. A placare le continue proteste dei sanitari presenti arriva il comandante della caserma, il quale ribadisce in modi fortemente irrispettosi e minacciosi la sua netta contrarietà al trasferimento non fornendo valide motivazioni”.
Quanto riportato, si legge nel verbale dell’Opi (ordine delle professioni infermieristiche) “non lascia sfuggire elementi che potrebbero rasentare il Codice Penale: impedire ad un arrestato la possibilità di curarsi in PS, l’abuso di potere di chi pensa di essere in posizione di ‘superiorità’, interferire pesantemente con le delicate attività svolte dal Servizio di Emergenza 118”.
L’organizzazione sindacale si rimette alla magistratura per ricostruire “la filiera delle responsabilità“, ma intanto il comando generale dell’Arma dei carabinieri interviene con una nota ufficiale in cui assicura che “sono già state disposte le necessarie verifiche per accertare le modalità di azione e le eventuali responsabilità del personale coinvolto. Di ogni risultanza sarà immediatamente informata la Procura della Repubblica di Ferrara”.
Al tavolo anche Ilaria Cucchi, presidente dell’associazione intitolata a suo fratello Stefano, accompagnata dall’avvocato Fabio Anselmo, che giustifica la propria presenza “in quanto simbolo dei diritti civili e di un caso di cure sanitarie negate. Il mio interessamento consente di portare un riflettore importante su questa vicenda”.
“Non potevo non essere qui a seguito della segnalazione di fatti così gravi – dice –, considerando inoltre che proprio da questa città è partita la mia battaglia di giustizia che si è estesa non più solo al caso che mi riguarda ma a tante altre situazioni simili, motivo poi per il quale è nata l’associazione che porta il nome di mio fratello. Ancora una volta Ferrara ha dato un esempio di enorme civiltà così come avvenuto in passato attraverso il comportamento coraggioso degli operatori sanitari coinvolti che hanno segnalato questo grave episodio”.
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