E’ stato recentemente presentato, con enfasi, il progetto di integrazione fra Azienda Usl ed Azienda Ospedaliera Universitaria di Ferrara.
Dopo averlo esaminato attentamente debbo rappresentare la mia profonda delusione spiegando i motivi e le considerazioni che ne sono alla base.
Questo quale contributo alla conoscenza dei problemi veri che negli ultimi tempi hanno condizionato e condizionano il sistema sanitario Ferrarese. Questo nella speranza che si avvii un dibattito ed una partecipazione attiva della gente ai problemi veri della sanità quale forma di protezione e sicurezza sociale.
Il momento del bisogno di assistenza sanitaria e sociale diventa drammatico per qualunque soggetto. Se si aggiungono le differenze sociali date dalla gradazione del benessere, ricchezza, povertà, anziani soli, disabili, genere, abbandonati. Resta solo il rifugio nei valori etici e religiosi.
E qui dovrebbe scattare l’impegno sociale che il rapporto di cittadinanza richiede. Cioè la partecipazione alla Politica e della Politica con la P. maiuscola. Leggendo il documento parrebbe che tutta la colpa ricada sulla difficoltà di unificare le due Aziende.
Si ricercano forme e modi per aggirare l’ostacolo. Tutto ciò è falso e deviante. Vi spiego il perché. Esiste una previsione normativa che è l’articolo 1 della legge n° 208 del 27-dic-2015 comma 546 (di comma in quell’articolo 1 ce ne sono ben 999 pensate un po’) che recita “Al fine di perseguire una più efficace e sinergica integrazione tra le attività di prevenzione, cura e riabilitazione e le attività di didattica e di ricerca, nonché allo scopo di conseguire risparmi di spesa, nelle regioni a statuto speciale che nel biennio antecedente alla data di entrata in vigore della presente legge hanno riorganizzato il proprio Servizio sanitario regionale, o ne hanno avviato la riorganizzazione, attraverso processi di accorpamento delle aziende sanitarie preesistenti, la collaborazione tra Servizio sanitario nazionale e università può realizzarsi anche mediante la costituzione di aziende sanitarie uniche, risultanti dall’incorporazione delle aziende ospedaliere universitarie nelle aziende sanitarie locali, secondo modalità definite preventivamente con protocolli di intesa tra le regioni e le università interessate, da stipulare ai sensi del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517.
Semplice e chiara la situazione giuridica. Se si vogliono unificare le aziende territoriali con le aziende universitarie le Regioni o la Politica chiedano al Parlamento di legiferare prevedendo nel rispetto delle autonomie regionali che qualora ricorrano valutazioni di fondata opportunità e convenienza anche ogni singola Regione a statuto ordinario possa decidere ed approvare le unificazioni che riterrà più opportune.
Così con chiarezza, trasparenza si legittimano i percorsi in sicurezza da contenziosi e tutto alla luce del sole con atti chiari ed inoppugnabili. In effetti il problema è la ristrettezza delle risorse tragicamente ridotte negli anni trascorsi, i violenti tagli delle strutture ospedaliere territoriali, dei tagli alle Università.
Una volta era segno di sviluppo ed efficienza tagliare il nastro tricolore augurale di un nuovo servizio o di una struttura con gara a chi farlo tagliare quel nastro. Oggi il successo si misura con la chiusura delle attività. Si chiude in silenzio senza paternità alcuna e senza atti formali.
Ed ecco allora la fuga dei professionisti. E sono quelli bravi che fuggono (indovinate perché). E poi la fuga dei pazienti (si chiama mobilità passiva). E chi deve rimpiazzare i professionisti in fuga ha l’accortezza di informarsi sulle prospettive di lavoro e sul clima aziendale, sullo stato delle tecnologie e delle attrezzature.
Accade che stante la ricchezza delle possibilità occupazionali i bravi professionisti scelgano luoghi più vivibili ove andare ad esercitare la propria attività. Desidero segnalare l’opportunità e l’urgenza di utilizzare o meglio di investire il tempo e le energie disponibili non su un lavoro burocratico ed elaborativo perfettamente inutile come quello scaturente dal documento dell’unificazione Aziendale considerando le ragioni giuridiche sopra esposte.
E le esperienze fatte e succedutesi negli anni dal 2016 ad oggi. Voglio ricordare che la Regione Emilia Romagna è stata uno dei centri ove sono state elaborate e cresciute le teorie riportare nel documento.
La gente chiede che si passi dalle parole alle realizzazione dei fatti. Il personale del servizio Sanitario è stanco di parole. Aspetta segnali concreti. Vogliamo e dobbiamo mettere energie per riparare gli errori del passato.
Partendo dall’autorevole certificazione che il dr. Carradori ha lasciato al momento del trasferimento a Cesena vanno attivate le azioni concrete a ripristinare funzioni e posti letto tagliati. Ne mancano 300. Vi par poco? Vogliamo affrontare il problema del sistema pronto soccorso?. La fuga dei professionisti avvenuta non fa riflettere che qualcosa di grave ed irreparabile sia successo?. Troppa autoreferenzialità è evidente.
Il ruolo dell’Università e la sua importanza per Ferrara vogliamo e dobbiamo riaffermarla con forza. Mi pare che questo aspetto sia stato affrontato sotto tono nel documento di unificazione. Cona come Hub va valorizzato e non sminuito. L’Università in questo ha un ruolo importante. La formazione la ricerca i risultati positivi acquisiti dalla nostra Università sono valori di cui dobbiamo essere fieri come patrimonio da perpetuare e difendere.
Il ruolo dei Sindaci va riaffermato considerando che è in corso a livello nazionale un’idea di revisione del processo di Aziendalizzazione. Ci sono oggi ancora presenti alcuni indicatori che davvero fanno tristezza.
Per esempio scoprire che l’Anatomia Patologica referta un esame istologico (caso di presunto Melanoma) dopo i 30 giorni. A Cesena da 4 a 7 giorni max 10.- In Veneto da 5 a 10 giorni. E pensare che il prof. Italo Nenci e la prof.ssa Beccati Donatella avevano formato una squadra di specialisti pronti al ricambio di professionisti in uscita certa e programmata.
Nomi di fantasia di queste risorse (Alice, Caterina ,Elisa, Federica, Maria Giulia ed altri). Tutte ignorate disperse emigrate ed ora affermate professioniste principalmente in Veneto. Opportunità preparata e persa. Così come persa è stata la Scuola di Specializzazione ora a Bologna come sede aggregata (Ferrara * Ancona).
Altra triste storia. Percorso tumore del seno. Esistevano due punti assistenziali uno a Cona (Clinica Chirurgica). Chiuso quello dell’H del Delta (con il trasferimento del punto nascita a Cento …meglio non approfondire) è stata concentrata tutta l’attività a Cona Solo che il dimensionamento dell’offerta non è adeguato alla domanda.
Conclusione tempi di attesa. Per le pazienti donne la fretta è un diritto considerando la patologia e non un lusso. Anzi è una forma di sicurezza e di qualità oltre che di umanità e solidarietà. Si può sempre scegliere per chi può la corsia della libera professione ed andare a pagamento. Non faccio commenti, mi chiedo solo se Ferrara merita ciò. Tantissimi altri esempi e fatti a sostegno che la situazione di grave sofferenza non è riferibile al problema Azienda Unica.
Va rivalutata l’organizzazione dell’offerta con il coinvolgimento di tutti i professionisti. Tutte le professionalità sono il nostro capitale umano che fanno la differenza. Condivisione con i professionisti. Occorre rilanciare i servizi territoriali per la gestione della salute dei cittadini a partire dalla medicina di base; stabilire un coordinamento efficace tra Ospedale e territorio per fornire prestazioni specialistiche senza tempi di attesa biblici, evitando che si debba ricorrere al privato come unica soluzione possibile alle necessità urgenti.
Si dovrà poi operare per una reale integrazione con i servizi sociali, in una visione globale dei bisogni dei cittadini e per l’umanizzazione dei percorsi e delle strutture assistenziali.
C’è tanto lavoro da fare e tante cose ancora da dire e raccontare. Lo farò. A costo di essere sgradevole. Lo devo anzi lo dobbiamo per rispetto a tante persone che hanno lottato ed operato per qualificare Ferrara e provincia.
Giuseppe Balicchi, ex direttore del Sant’Anna